Il sentire Cristiano
Com’è possibile che per Papa Benedetto Dio Padre sia stato crudele con Dio Figlio nel fare pagare a Lui per i peccati del mondo (cfr CE della settimana scorsa)? “C’è un battesimo che devo ricevere,” dice il Figlio stesso, “e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc. XII, 50). Santa Teresa d’Avila volle “soffrire o morire”. Invece Santa Maria Maddalena de’ Pazzi volle “soffrire e non morire”. La seguente citazione può mostrare quella cristiana comprensione della sofferenza che manca al moderno Benedetto:—
A chi lo posso dire quello che soffro? A nessuno di questa terra, perché non è sofferenza della terra e non sarebbe capita. È una sofferenza che è dolcezza e una dolcezza che è sofferenza. Vorrei soffrire dieci, cento volte tanto. Per nulla al mondo vorrei non soffrire più questo. Ma ciò non toglie che io soffra come uno preso alla gola, stretto in una morsa, arso in un forno, trafitto fino al cuore.
Mi fosse concesso di muovermi, di isolarmi da tutto e di potere nel moto nel canto dar uno sfogo al mio sentimento – poiché è dolore di sentimento – ne avrei sollievo. Ma sono come Gesù sulla croce. Non mi è più concesso né moto né isolamento e devo stringere le labbra per non dare in pascolo ai curiosi la mia dolce agonia. Non è un modo di dire: stringere le labbra! Devo fare un grande sforzo per dominare l’impulso di gridare il grido di gioia e di pena soprannaturale che mi fermenta dentro e sale con l’impeto di una fiamma o di uno zampillo.
Gli occhi velati di dolore di Gesù: Ecce Homo, mi attirano come una calamita. Egli m’è di fronte e mi guarda, ritto in piedi sui gradini del Pretorio, con la testa coronata, le mani legate sulla sua veste bianca da pazzo con cui l’hanno voluto deridere, ed invece lo hanno vestito del candore degno dell’Innocente. Non parla. Ma tutto in Lui parla e mi chiama e chiede.
Che chiede? Che io lo ami. Questo lo so, questo gli do sino a sentirmi morire come avessi una lama nel petto. Ma mi chiede ancora qualcosa che non capisco. E che vorrei capire. Ecco la mia tortura. Vorrei dargli tutto quanto può desiderare a costo di morire di spasimo. E non riesco.
Il suo Volto doloroso mi attira e affascina. Bello è quando è il Maestro o il Cristo Risorto. Ma quel vederlo mi dà solo gioia. Questo mi dà un amore profondo che più non può essere quello di una madre per la sua creatura sofferente.
Sì, lo comprendo. L’amore di compassione è la crocifissione della creatura che segue il Maestro sino alla tortura finale. È un amore dispotico che ci impedisce ogni pensiero che non sia quello del suo dolore. Non ci apparteniamo più. Viviamo per consolare la sua tortura, la sua tortura è il nostro tormento che ci uccide non metaforicamente soltanto. Eppure ogni lacrima che ci strappa il dolore ci è più cara di una perla, ogni dolore che comprendiamo somigliante al suo, più desiderato amato di un tesoro.
Padre, mi sono sforzata di dire ciò che provo. Ma è inutile. Di tutte le estasi che Dio può darmi, sarà sempre quella del suo soffrire quella che porterà l’anima mia al mio settimo cielo. Morir d’amore guardando il mio Gesù penante, trovo che sia il più bel morire.